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Pro e contro una relazione tra azione etica ed estetica

Andrea Vestrucci
septembre 2011

DOI : https://dx.doi.org/10.56698/filigrane.529

Index   

Texte intégral   

1Se la connessione tra etica ed estetica costituisce uno dei problemi fondamentali di speculazione sin dalla nascita della filosofia, la ricerca contemporanea pare sempre più interessata alla (legittimazione della) applicazione di categorie etiche per l’analisi di problemi o oggetti estetici, quali lo statuto dell’opera d’arte, il gesto dell’artista, gli effetti “educativi” dell’arte sul pubblico. Il presente studio tenta di contribuire a suo modo a questo dibattito, proponendo una riflessione sulle affinità e differenze formali tra azione etica e azione estetica.

2Il problema fondamentale concerne la definizione di cosa è azione etica o estetica. Dato che tutti i tentativi di definizione possono essere concepiti come parziali, l’analisi qui proposta è strutturata sulla base di tre punti centrali, in ciascuno dei quali l’argomentazione raggiunge un risultato significativo il quale è a sua volta problematizzato e superato. Dal primo punto, relativo alla relazione dell’azione con un sostrato normativo, si deduce il momento successivo, concernente il giudizio sull’azione e la funzione del principio di universalità ; da questo è derivato quindi il terzo punto, sulla distanza essenziale tra i due tipi di azione e sul rischio di confusione tra le sfere dell’estetico e dell’etico. Il movimento generale dell’argomentazione procede da una prima distanza immediata tra le due azioni (relativa alla dialettica prescrizione/libertà) alla determinazione di una prossimità riferita al principio dell’università, per concludersi con una nuova distanza in riferimento ai differenti ruoli svolti da universalità e soggettività. La conclusione e l’inizio appaiono strettamente connessi, ma l’immediatezza della prima dferenza riceve pieno significato concettuale solo dopo la mediazione del momento di prossimità.

3Alla luce di questa immediatezza, propria di ogni inizio teoretico, l’analisi comincia in modo “quasi fenomenologico”, con la descrizione delle impressioni soggettive su un’opera d’arte – le quali, nel contempo, costituirono proprio l’avvio al questionamento intorno ai problemi qui esposti.

Soggettività e oggettività, libertà e prescrizione

4La Martin-Gropius-Haus a Berlino ospitò nella metà del 2010 l’esposizione di Olafur Eliasson Innen Stadt Außen – o piuttosto una sua esposizione unica, dal momento che le sue installazioni differiscono secondo lo spazio che l’artista ha a disposizione. Questa volta l’esposizione era costituita da stanze ciascuna delle quali proponeva una differente modificazione della percezione dello spazio attraverso l’uso di specchi (moltiplicazione dello spazio) o di una fitta nebbia colorata (annullamento delle dimensioni).

5Il visitatore è condotto in una sorta di viaggio iniziatico all’interno della concezione dello spazio propria di Eliasson, attraverso l’utilizzo di queste istallazioni. A prima vista l’opera d’arte trasmette quindi un messaggio che, apparentemente, può essere comunicato proprio solo attraverso la creazione artistica : il significato delle opere coincide con la rappresentazione di un’idea relativa al mondo o al posto che l’uomo occupa al suo interno, propria di un individuo chiamato artista proprio alla luce della produzione di questa specifica forma di comunicazione1. L’oggetto ha quindi la funzione di esprimere, in forma rappresentativa, una concezione di un soggetto o meglio il suo sentimento – ossia la sua concezione non argomentabile o quantomeno non soggetta ad argomentazione – relativa al mondo, alla relazione uomo-mondo e vari aspetti d’essa. Pertanto oggetto dell’opera d’arte, oggetto dell’intenzione comunicativa dell’artista, è una posizione soggettiva in quanto non esprimibile di forma oggettiva, ovvero concettuale : ogni forma argomentativa è per definizione insufficiente alla sua espressione (altrimenti sarebbe espressa in queste forme) ; l’opera d’arte rivela e rappresenta quindi una concezione sentimentale, comunemente chiamata il mondo interiore del soggetto.

6Può quindi essere dedotto che l’individuo chiamato artista, al fine di attribuire una forma estetica al proprio mondo soggettivo, deve seguire solo la propria soggettività. Nessuna norma o idea esterna al mondo interiore dell’artista partecipa necessariamente alla determinazione della creazione dell’opera d’arte. Secondo questa posizione sarebbe sufficiente per un’opera d’arte seguire i principi soggettivi dell’artista, le sue regole, al fine di essere un’opera d’arte valida2, riconosciuta come tale. Tuttavia è dubbio che in questo caso si possa parlare ancora di regole, dal momento che questi principi non sono condivisi : una definizione più calzante potrebbe essere quella di “stimoli”, espressioni della libertà idiosincratica dell’individuo. Ogni altra determinazione esterna e oggettiva (opposta a “idiosincratica”) si limiterebbe a rivestire il ruolo di freno, correzione, repressione del gesto spontaneo e creativo dell’artista.

7Questa prima conclusione contiene una grande incoerenza, riferita all’intenzione comunicativa del gesto artistico : se l’opera d’arte parla unicamente il linguaggio privato e peculiare dell’artista, come può comunicare qualcosa, come può il suo contenuto essere trasmesso e compreso da terzi ? Se l’artista intende rappresentare unicamente il suo mondo interiore attraverso un medium, un linguaggio, che risulti determinato dalla sua stessa spontaneità idiosincratica, come può questa rappresentazione essere compresa da qualsivoglia fruitore differente dall’artista stesso ? La tirannia dell’assoluta individualità comporta l’impossibilità, per un qualunque senso che pretenda di essere condiviso, di essere compreso e il fruitore dell’“opera” così determinata si scopre a essere spettatore di un verso insensato, verso dell’animale-artista e tuttavia, nel contempo, identico a ogni altro verso.

8Si è quindi di fronte a un aut-aut. Aut l’azione di creazione artistica risulta dall’intenzione di comunicare un’impressione, un sentimento o in generale una relazione soggettiva con il mondo dell’artista, aut l’intenzione che soggiace alla creazione artistica deriva da un’individualità irripetibile che parla per se stessa in modo assolutamente libero, senza la minima velleità comunicativa.

9In ogni caso, e prima di sciogliere questa antinomia, il fatto che la produzione di un’opera d’arte sia apparentemente determinata esclusivamente dall’idiosincrasia dell’artista sembra porre l’azione della creazione artistica in assoluta antitesi rispetto all’azione determinata secondo una norma. La nozione di azione etica entra ora in scena per la prima volta, sebbene in una definizione parziale : in termini generali l’azione etica può essere definita come determinata dall’intenzione di realizzare una norma che sia riconosciuta o che possa essere riconosciuta come buona e lecita – tralasciando, a questo punto, il problema della bontà o liceità della norma e del principio della sua bontà. È quindi possibile esplicitare questa antitesi tra i due tipi di azione, alla luce della loro relazione con un principio soggettivo od oggettivo : se da un lato l’azione estetica deriva dall’intenzione di rappresentare nel mondo la soggettività dell’artista, d’altro lato l’azione etica deriva dall’intenzione di realizzare una norma oggettiva. In opposizione alla natura spontanea e non prescrittiva dell’azione estetica, l’azione etica esiste nella limitazione compulsoria della spontaneità soggettiva e fisica3.

10Tuttavia non è necessario un sguardo particolarmente acuto per notare come la connessione a un sostrato normativo partecipa anche della definizione dell’azione estetica : da una prospettiva generale, una produzione, al fine di essere apprezzata come opera d’arte, deve soddisfare alcune aspettative codificate in un sistema di regole chiamato canone. L’azione di creazione di un’opera considerata opera d’arte (a prescindere dal tipo di arte, e tralasciando il problema della commissione4) ha da sempre seguito un sistema prescrittivo, storicamente e culturalmente determinato, dettante regole di proporzione e composizione, definente stili e criteri di produzione artistica e dando contenuto al concetto di Bello. Queste regole e la loro sistemazione in canoni mutano secondo lo Zeitgeist di un’epoca e, viceversa, la loro modificazione contribuisce al passaggio da un periodo storico all’altro. Questo sostrato oggettivo gioca il ruolo di limitazione della libertà espressiva dell’artista, o meglio (invertendo causa ed effetto) è la libertà espressiva dell’artista a essere determinata, a ricevere forma e a poter esistere, grazie al sistema prescrittivo.

11Come accennato prima, questo sistema prescrittivo era, ed è tutt’ora, determinato non solo culturalmente ma anche storicamente. L’arte possiede infatti una natura dinamica storica : è mossa alla e dalla costituzione di nuove regole e nuove forme di espressione. In questo contesto trova il suo senso la complessa figura del genio artistico, quale “natura che attribuisce regole all’arte”5, funzione di mutamento normativo attraverso la proposizione ed espressione di nuove forme e modalità di rappresentazione – forme e modalità assunte in seguito, inconsciamente o intenzionalmente, da altri artisti nel loro proprio processo di creazione. Il genio supera un limite prescrittivo e lo sostituisce con un altro limite, sostituisce norme con norme le quali sono, in un secondo tempo, le norme esterne cui si conformano e obbediscono altre azioni artistiche e altri artisti, e che sono quindi, a loro volta, superate6. Nel rinnovamento storico del sostrato prescrittivo artistico le norme abbandonate giocano un ruolo coattivo unicamente negativo : non è più possibile seguire una norma precedente, se non si vuole che il proprio lavoro sia considerato pastiche, copia, gesto artistico non autentico7. In ogni caso l’azione artistica non abbandona mai il livello del prescrittivo, dal momento che la ricerca di nuove forme di espressione coincide proprio con la sostituzione di un sistema di norme con un altro ; il fatto di seguire una norma stabilisce la validità dell’azione estetica, proprio come nel caso dell’azione etica.

12Da questa conclusione non deriva tuttavia una svalutazione dell’importanza che la soggettività riveste come produttrice dell’azione estetica. Ciò che un artista scrive, compone, dipinge o assembla non può essere creato da nessun altro essere umano – contrariamente a quanto avviene per le leggi scientifiche, quantomeno dal punto di vista del criterio scientifico stesso. Nuovamente, ne risulta una profonda differenza rispetto all’etica : nel caso dell’azione etica ognuno può [kann] obbedire in modo uguale alla norma e produrre un’azione etica ugualmente positiva, dal momento che ognuno deve [soll] produrre la stessa azione, ossia obbedire alla norma. La situazione dell’azione estetica è differente : nonostante possa essere concepita in prima istanza come dovere nei confronti di una norma (artistica), è assurdo parlare di un dovere per quanto concerne l’azione estetica, piuttosto solo di una possibilità soggettiva e specifica – specifica dell’artista ; alla generalità della referenza della norma etica corrisponde solo una certa particolarità e specificità (riferita all’artista) della referenza della norma estetica8.

13Il problema è però più complesso di quanto appare a prima vista. Infatti anche nell’azione etica la soggettività gioca un ruolo importante, essendo l’azione determinata anche da un punto di vista estetico. L’azione di rispetto di una norma etica può effettivamente realizzare o non realizzare la norma (ossia essere etica o meno) non solo a seconda dell’intenzione, ma anche alla luce della sua estetica, della forma del gesto. L’estetica dell’azione etica si riferisce alla disposizione ad agire in accordo con l’idiosincrasia della persona verso cui l’azione è compiuta, un “fine tuning9 che sottolinea l’importanza del tatto nel mondo moderno10. Nel contempo ogni singola azione etica esprime la soggettività dell’attore, e pertanto ogni singola realizzazione della stessa norma è differente da persona a persona ; ogni attore ha potenzialmente la capacità di aggiungere un elemento nuovo alla ripetizione della stessa norma, una sorta di “inventivité morale11. Questo complicato intreccio tra soggettività e norma è ben esemplificato, secondo Ricœur, dalla pratica dell’ospitalità12. Inoltre, anche l’azione etica è determinata in modo storico, ed evolve e muta secondo il tempo in modo forse ancora più radicale rispetto all’azione estetica : è infatti la Storia stessa a coincidere con e a essere determinata dall’evoluzione del sostrato normativo oggettivo, la Sittlichkeit13, e quindi il valore dell’azione etica si riferisce a ed è sancito dal contenuto di un sistema prescrittivo in un dato momento storico. Parimenti, nel caso della modificazione del sistema storico, l’azione che segue una norma non (ancora) scritta poiché non ancora espressa in modo esplicito nello spirito di un’epoca è concepita come violenta, arbitraria, ingiusta dalla parte di popolazione (usualmente la maggioranza) che segue le norme scritte14 – esattamente come il lavoro del genio artistico è spesso, inizialmente, compreso non come il veicolo di una nuova forma di espressione artistica, ma unicamente come negazione di norme tradizionali nella produzione artistica.

14In sintesi sia l’azione etica sia quella estetica risultano dall’intreccio tra il livello idiosincratico della soggettività dell’attore e il livello nel contempo oggettivo e storico del sistema normativo cui l’attore appartiene. In entrambi i casi l’azione ha senso solo se la libertà del soggetto è supportata e definita dal momento oggettivo, ossia se è affermata in modo non arbitrario : infatti la libertà esiste solo se la soggettività è posta sotto certe condizioni oggettive, e l’azione ha senso (ossia può essere compresa come azione artistica o etica) solo in riferimento a queste condizioni : il soggetto può agire in modo etico o estetico solo all’interno di un tessuto pre-esistente di norme – in senso sia positivo che negativo, come realizzazione o negazione di una aspettativa normativa la quale definisce o più semplicemente appartiene allo Zeitgeist di una certa epoca.

15Questa conclusione consente di rispondere alla domanda iniziale relativa alla possibilità di comunicare una soggettività pura. Com’era peraltro implicito nella contraddizione propria della libertà assoluta dell’artista, è solo attraverso il riferimento a un sistema prescrittivo oggettivo che l’individualità si rende comunicabile – e nel modo più generico possibile questo sistema è rappresentato dal linguaggio. Sono quindi le norme linguistiche a ricevere una specificazione etica o estetica : nel primo caso l’individualità comunica la propria moralità (l’accordo della propria volontà con una norma) attraverso l’azione (etica) ; nel secondo caso l’individualità può comunicare il proprio mondo interno (l’accordo tra il proprio carattere sentimentale e il mondo) attraverso l’azione (estetica). Entrambe le azioni condividono quindi una natura relazionale, che sancisce la negazione del solipsismo dell’individuo-attore e che risulta connessa alla necessità della connessione e del riferimento ad altri esseri umani. La natura relazionale si manifesta e si specifica nel rapporto con gli altri quali referenti dell’azione etica e fruitori dell’azione estetica.

Fruizione e universalità

16Data la natura relazionale delle azioni etica ed estetica, il semplice seguire una norma è condizione necessaria ma non sufficiente per l’attribuzione della qualificazione di “etica” o “estetica” a un’azione. Un artista può seguire i canoni del proprio tempo e un attore può seguire le norme della propria Sittlichkeit, ma questo non comporta la necessità che la conseguenza dell’azione (e quindi l’azione stessa) sia portatrice di un valore estetico o etico positivo : essa può sempre essere suscettibile di un giudizio negativo. Pertanto la qualificazione dell’azione, il suo essere effettivamente estetica o etica, è determinata anche in accordo con il giudizio di chi esperisce l’azione e le sue conseguenze. L’azione, al fine di essere veramente estetica o etica, deve in qualche modo obbedire o realizzare alcune aspettative soggettive proprie del fruitore dell’azione15 – deve, in qualche modo, piacere al fruitore. Quale tipo di piacere è qui in gioco ? E come questo piacere è prodotto?

17A prima vista è più semplice tentare di rispondere nel caso dell’azione etica. Sulla base della seconda formulazione dell’imperativo categorico un’azione è morale se non nega la dignità altrui come essere umano, se non nega l’umanità della persona verso cui l’azione è compiuta. Pertanto un’azione è giudicata positivamente (in senso etico) se l’altro verso cui l’azione è compiuta16 può riconoscere se stesso come essere umano nell’azione, se non percepisce la sua appartenenza al genere umano come negata. Ciò implica il riferimento all’ uguaglianza universale (ossia non sostantiva) tra le due persone (attore e fruitore) : l’azione è giudicata positivamente se non nega questa uguaglianza veicolata dal comune e mutuo appartenere al genere umano.

18L’aspettativa che l’azione etica deve soddisfare è quindi doppia : da un lato si tratta di un’aspettativa legale (l’azione deve seguire una norma della Sittlichkeit), d’altro lato a questa deve essere aggiunta anche un’aspettativa morale, connessa alla soddisfazione del bisogno di riconoscimento come soggetto umano – un riconoscimento che, seguendo nuovamente Kant, si riferisce alla non-negazione dell’umanità in entrambi attore e ricettore. Le due aspettative sono interconnesse : da un lato l’aspettativa legale deve essere soddisfatta anche moralmente attraverso la considerazione dell’idiosincrasia dell’altro individuo come (anche) fine in se ; dall’altro lato l’aspettativa morale può giustificare la negazione di un’aspettativa legale nel caso in cui l’azione sia determinata da una norma non scritta che neghi, per ragioni morali, una norma scritta della Sittlichkeit.

19Il problema dell’aspettativa è ben più complesso per quanto concerne l’azione estetica. Un’azione è estetica se segue (o infrange e quindi stabilisce) alcune norme definenti un canone artistico, al fine di produrre una rappresentazione del cosiddetto “mondo interiore” dell’artista, o quantomeno di una concezione o idea a tal punto soggettivamente determinata da non essere passibile né di confutazione né di verificazione17. Questa intenzione non è tuttavia sufficiente affinché l’azione (e la sua conseguenza, ovvero l’opera d’arte) sia riconosciuta e quindi giudicata come estetica : lo spettatore o fruitore dell’opera d’arte può comprendere chiaramente il messaggio veicolato e il mondo soggettivo da essa rappresentato, ossia l’intenzione artistica dell’attore, e tuttavia non ricevere alcun piacere da questa comprensione. Se così non fosse, la differenza e il contrasto tra differenti giudizi estetici (e quindi la loro pluralità) sarebbe eccezionale e causata unicamente da ignoranza o cecità cognitiva ; inoltre, sarebbe possibile trovare il miglior linguaggio artistico, il miglior sistema di regole, al fine di rappresentare al meglio il mondo soggettivo dell’artista, il suo concetto “non argomentabile” e quindi eminentemente sentimentale e soggettivo.

20Al contrario, come la soggettività svolge un ruolo principe nella determinazione del contenuto – non della norma – dell’opera d’arte, così la fonte del piacere estetico è completamente e meramente soggettiva. Questo è particolarmente vero nella situazione moderna, la quale sembra essere definita (anche) proprio dall’assenza di qualsivoglia criterio formale di gusto18 ; ogni singolo giudizio estetico è quindi vero in sé per un motivo che è nel contempo la condizione dell’assenza di oggettività nel criterio estetico : per la totale assenza, nella determinazione del giudizio estetico, di ogni necessità relativa all’esistenza dell’oggetto del giudizio – come Kant già argomentò. L’oggetto può essere il prodotto di un genio, la creazione più sofisticata e intelligente, il dipinto più celebrato, e tuttavia non produrre alcun piacere estetico nel fruitore, e quindi non essere giudicato positivamente. Pertanto, come affermato prima, il piacere estetico non deriva in alcun modo dalla conoscenza : nessun tipo di conoscenza, sia essa soggettiva (riferita all’artista) o oggettiva (riferita all’opera d’arte), è causa o fonte o esplicazione sufficiente del piacere estetico. Se infatti un tipo di conoscenza fosse considerato come causa o fonte del piacere, quest’ultimo dipenderebbe da un criterio oggettivo e sarebbe quindi possibile fondare una “scienza” del piacere estetico alla luce della connessione causale tra condizione (l’oggetto della conoscenza) e conseguenza (il piacere) ; sfortunatamente per il filosofo sistematico e fortunatamente per l’artista, non è questo, empiricamente, il caso.

21Se quindi il piacere estetico non è questione di cultura né di conoscenza oggettiva, il soggetto ha sempre l’ultima parola : nella sua individualità e solitudine, è solo egli a provare piacere estetico. Nel contempo però la possibile modificazione di referente del piacere implica che il piacere non è neppure questione di gusto completamente soggettivo : il soggetto può educarsi e sviluppare il proprio gusto a nuovi referenti, nuovi oggetti ; il piacere può anche mutare alla luce del confronto con i gusti altrui e così scoprire nuovi oggetti artistici (oggetti definiti artistici) o nuovi significati per lo stesso oggetto, provando così piacere per ciò che prima era solo fonte di tedio o fastidio. Ma, a ben vedere, non è il piacere a essere educato o a mutare, piuttosto sono gli oggetti di riferimento a mutare a seconda del livello di educazione : il piacere è sempre lo stesso come sentimento identico a se stesso indipendentemente dall’oggetto o dal referente che ne determina il sorgere. Per questo motivo il piacere è identico da individuo a individuo, e questa identità è comprovata dal fatto che tutti i partecipanti alla discussione vertente su giudizi estetici (riflettenti)19 possono comprendersi reciprocamente anche nel caso in cui siano portatori di giudizi completamente differenti : l’identità del piacere è la condizione del pari valore dei giudizi, al di à della loro differenza contenutistica.

22Parallelamente all’azione etica se il piacere estetico è lo stesso, significa che lo stesso bisogno è stato soddisfatto ; pertanto anche al piacere estetico può essere applicato un certo concetto di universalità. Il problema è determinare di quale universalità si tratti.

23Se un’opera d’arte produce piacere significa che l’opera comunica qualcos’altro rispetto alla soggettività dell’artista (o meglio alla rappresentazione di questa soggettività, del suo concetto “sentimentale”) ; in caso contrario la mera rappresentazione sarebbe la condizione sufficiente per la manifestazione del piacere estetico, ma questo, come già riconosciuto, non è empiricamente il caso. Alla luce dell’assenza di ogni criterio oggettivo di gusto e di una relazione causale tra conoscenza del contenuto dell’opera d’arte e piacere, questo elemento “altro” rispetto alla soggettività dell’artista può solo riferirsi, nuovamente, a una soggettività. E dato che solo due soggetti sono coinvolti nel piacere estetico (l’attore e il fruitore), essendo già stato escluso il primo, l’elemento in grado di produrre piacere estetico non può che essere il soggetto fruitore. Pertanto il piacere che il fruitore prova nel vedere, leggere, ascoltare un’opera d’arte è connesso unicamente alla sua soggettività.

24Tuttavia è possibile un accordo tra differenti giudizi estetici – e tale accordo è possibile poiché è empiricamente reale ; il fatto che sia possibile per più di una singola persona provare piacere in riferimento alla stessa opera d’arte consente di perfezionare l’ipotesi precedente : il piacere estetico individuale non è suscitato dalla mera rappresentazione della soggettività del fruitore (cosa peraltro impossibile, essendo questa rappresentazione effettuata da una persona differente rispetto al fruitore). Al contrario, se una pluralità di persone trae piacere (e ripeto : lo stesso identico piacere) dalla stessa opera d’arte, ossia dalla stessa rappresentazione della propria soggettività, questa rappresentazione non è assunta in modo soggettivo bensì in un certo qual modo universale : questo modo universale si riferisce alla soggettività stessa. Pertanto, in sintesi, il piacere estetico è connesso alla rappresentazione dell’universalità di una soggettività ; tuttavia questa soggettività può solo sussistere a livello concettuale e non empirico, ossia la soggettività trattata come universale altro non è se non il concetto di soggettività. Pertanto il principio soggiacente alla fruizione estetica accompagnata da piacere è la soggettività come universalità ; in altri termini il piacere estetico sorge di fronte alla rappresentazione del concetto (universale) di soggettività, e il fruitore riconosce la propria universalità sotto l’egida della propria soggettività elevata e assunta come forma della propria umanità, come la soggettività che si incarna e si specifica in una soggettività, in questa soggettività del fruitore.

25Non si tratta di comprendere che, per una coincidenza fortuita e casuale, l’artista sente proprio come il fruitore, condivide lo stesso mondo interiore e creò quindi un’opera che rappresenta questa soggettività empirica condivisa20. Al contrario a essere condivisa è la soggettività non empirica (impossibile da condividere per principio) ma universale : il fruitore prova piacere nel riconoscere, nell’opera d’arte, il proprio mondo interiore, sentimentale e soggettivo, rappresentato non in modo empirico, ma in modo universale. E dato che l’universalità della soggettività sentimentale è il concetto di quest’ultima, il piacere estetico di riferisce al riconoscimento dell’universalità del concetto di soggettività cui la propria soggettività empirica partecipa come sua specificazione, realizzazione, incarnazione.

26Apparentemente sussiste una contraddizione, dal momento che si è più volte sottolineato come l’opera d’arte rappresenti non un concetto, ma il mondo soggettivo dell’artista secondo alcune norme oggettive. Per risolvere la contraddizione è necessario distinguere tra l’oggetto dell’intenzione dell’artista e il contenuto della ricezione del fruitore : come sarà chiaro in seguito, il primo differisce dal secondo.

27L’oggetto del piacere è quindi il sorgere dell’universalità di ciò che, a prima vista, appariva come personale, privato, idiosincratico (e che non cessa mai di essere tale, in effetti). Lo svelamento artistico di questa privatezza pur sempre intima appare come condizione dell’umanità, l’esistenza idiosincratica è elevata a rappresentazione di una categoria, il soggetto si riconosce parte dell’umanità sotto l’egida dell’universale soggettività : questa è la causa formale del piacere estetico. È quindi possibile concludere che il piacere estetico coincide o dipende dal riconoscimento, da parte di un soggetto, della propria universalità in quanto soggetto, dell’universalità del proprio sentimento che il soggetto trova rappresentato nell’opera d’arte. Attraverso l’esperienza estetica il fruitore comprende in modo analogico e intuitivo (ossia, nuovamente, in modo non argomentativo) l’universalità della propria idiosincrasia empirica, l’universalità di ciò che rappresenta la sfera più intima della propria condizione : nel piacere estetico la sfera segreta del sentimento appare come condizione della stessa soggettività in generale, e quindi potenzialmente incarnata in altre vite, e tra esse la vita dell’artista. Il piacere deriva quindi dalla comprensione del senso della propria soggettività attraverso la sua elevazione a concetto : la soggettività infatti, se assunta in modo immediato, resta tirannica espressione dell’idiosincrasia, parla un linguaggio non condiviso, una favella di animale. Questo riconoscimento analogico di questa soggettività nella soggettività produce il piacere estetico, specchio dell’universalità del soggetto fruitore21.

28Il riconoscimento dell’universalità gioca quindi un ruolo centrale tanto nell’azione etica quanto in quella estetica. In entrambi i casi il riconoscimento è determinato dall’incontro di tre contingenze, l’attore, la norma e il fruitore dell’azione, tuttavia in entrambi i casi nessuna di questa contingenze è assunta come fine dell’azione : non si tratta né della mera affermazione della soggettività (autocompiacimento), né della semplice obbedienza a (o infrazione di22) una norma storica23, né della compiacenza verso chi riceve l’azione (intrattenimento, divertissement)24 ; le aspettative etiche ed estetiche non sono soddisfatte se la loro rispettiva azione ha per solo fine l’affermazione di una o più di queste contingenze. Piuttosto il fine delle due azioni è l’universalità la quale, in quanto principio formale, non è mai completamente realizzata ; bellezza e bontà, usuali specificazioni estetica ed etica di questo principio formale, non sono mai presenti nel mondo empirico in modo puro, ossia in un modo che soddisfi il loro concetto : nessuna produzione estetica è interamente e inequivocabilmente, universalmente bella, nessuna conseguenza dell’azione etica è universalmente buona. Le due azioni sono quindi solo approssimazioni della realizzazione dell’universalità, mai completamente realizzata – e viceversa, interpretando in modo positivo ciò che svolge un ruolo negativo, per questo stesso formalismo, l’universalità non esiste se non in queste manifestazioni incomplete, parziali, empiriche. Non vi è bellezza25 se non nei prodotti dell’azione estetica, non vi è bontà se non nelle conseguenze dell’azione etica. In un modo che è solo apparentemente paradossale, le varie e parziali realizzazioni dell’universalità sono sue realizzazioni piene, data la natura solo formale di bellezza e bontà26.

29Sussiste quindi un movimento teleologico parallelo, mai compiuto e, nel contempo, realizzato in ogni momento di realizzazione dell’universalità come condizione di riconoscimento tra attore e fruitore. Qui, per entrambi i tipi di azione, riposa la necessità di un livello prescrittivo storico come condizione (oggettiva) di limitazione e informazione dell’assoluta e incomprensibile spontaneità e zampillio27 della soggettività. Infine, la contingenza della norma ha valore non in sé ma come specificazione storica dell’universalità, condizione di mediazione della immediatezza empirica, e di comunicazione e ricezione del senso universalizzabile della soggettività.

Disarmonia delle (due) sfere

30La prossimità tra i due tipi di azione deve tuttavia essere ridiscussa : se infatti in entrambi i casi la relazione con l’universalità costituisce una condizione necessaria, nel contempo la forma di questa relazione e la sua possibilità differiscono profondamente.

31Come visto un’azione è etica o estetica non solo se obbedisce a una norma, ma anche se realizza il principio formale dell’universalità in riferimento (positivo o negativo) a un sistema prescrittivo oggettivo. Ora, dato che l’universalità si esprime unicamente in riferimento a un sistema normativo, essa coincide con una meta-norma la cui funzione è selezionare le norme storiche (siano esse su un piano etico o estetico) secondo la loro compatibilità (non-negazione) con l’universalità. La risposta al problema relativo alla modalità di realizzare questa meta-norma è il primo passo per determinare la distanza tra i due tipi di azione.

32A livello dell’azione etica l’accordo con il principio dell’universalità è una necessità, intesa come necessaria determinazione della volontà. La volontà non è morale né libera senza il necessario accordo con l’universalità, la quale è pertanto la sola forma che la volontà morale può (potest) assumere. Per gli esseri umani, patologicamente determinati, la cui volontà non è completamente adeguata alla ragione, la necessità dell’universalità assume la forma della prescrizione (ossia di una mera possibilità)28. In ogni caso questa possibilità può essere una realtà per ogni essere umano dal momento che deve essere una realtà29, deve essere realizzata e, d’altro canto, la volontà può essere determinata in modo universale perché deve necessariamente assumere tale forma per essere morale30. La conoscenza o consapevolezza dell’universalità (nella sua forma meta-normativa) non rappresenta affatto una condizione di produzione di un’azione etica : l’attore può anche non sapere del concetto di universalità, del nesso tra quest’ultima e la morale, e tuttavia agire in modo morale31. Nel contempo questo non nega che la volontà dell’attore, nell’intenzione di produrre un’azione etica32, sia necessariamente determinata dal principio dell’universalità – il quale, metaforicamente parlando, agli occhi della volontà non appare come una norma ma come una modalità di funzionamento. Questa necessità modale della connessione con l’universalità comporta che la produzione dell’azione etica è possibile per ogni essere umano, in quanto dovere di ognuno.

33Il caso dell’azione estetica è alquanto differente. Contrariamente all’azione etica, non vi è alcun dovere universale (allgemein) relativo alla produzione dell’azione estetica : una norma del tipo “Ognuno deve creare un’opera che produca piacere estetico” non esiste, o meglio non potrebbe esistere essendo priva di ogni senso prescrittivo. Infatti, in termini generali una norma ha senso prescrittivo se l’azione prescritta può essere realizzata dai soggetti cui la norma si riferisce – in altre parole se la sua realizzazione partecipa delle possibilità di questi esseri umani33 ; questo nodo concettuale è riassunto in modo eccellente nel detto kantiano “Devi, quindi puoi”34. La prescrizione di produrre azioni estetiche non ha alcun senso come prescrizione dal momento che, semplicemente, non è possibile per ciascun essere umano produrre una rappresentazione della soggettività come specchio dell’universalità, e quindi produrre piacere estetico. Ipoteticamente tutti possono dipingere, suonare, comporre una musica o un poema, scolpire, ma questo non è il caso empiricamente : non tutti producono un’opera artistica dato che dalla semplice capacità di realizzare una norma non deriva l’effettivo valore dell’azione e delle sue conseguenze35. Certamente non tutti producono neppure conseguenze buone e morali, e molto poche sono le persone buone36, ma sussiste una differenza tra la non generalità etica e quella estetica, una differenza che si riferisce non al livello della realtà, ma a quello della possibilità : se da un lato è empiricamente possibile (anche se non è reale) per ogni essere umano produrre un’azione etica (altrimenti non sarebbe neppure possibile comprendere il significato del concetto di bontà), d’altro lato è empiricamente impossibile per ogni essere umano produrre azioni estetiche. La ragione è semplice e fondamentale : contrariamente all’azione etica, nel caso dell’azione estetica non è in prima istanza questione di determinazione della volontà, ma piuttosto questione di meriti innati o talenti meritati37.

34In conclusione da un lato il concetto di azione etica implica la possibilità per tutti gli esseri umani (o meglio per tutti gli esseri la cui volontà può essere determinata in accordo con il principio dell’universalità) realizzare azioni etiche e quindi essere buoni ; d’altro lato non vi è alcun dovere applicabile al caso dell’azione estetica : la realizzazione dell’opera d’arte e del piacere estetico non è una possibilità per ciascuno, dato che non vi è alcuna determinazione necessaria della volontà. Per questo motivo se da un lato è possibile trovare un criterio oggettivo del bene (l’imperativo categorico) non altrettanto è possibile per il bello : del bello, contrariamente al bene, non vi è scienza38.

35Citando Thomas Mann mi sono riferito ai meriti innati e ai talenti meritati39 quale terminologia migliore (benché forse un poco paradossale) per introdurre la relazione tra necessità e possibilità nell’azione estetica, e così la sua differenza rispetto all’azione etica. Anche se la realizzazione di azioni estetiche è solo una mera possibilità connessa alla naturale disposizione di un singolo essere umano, la produzione di un’opera d’arte rappresenta il frutto di questa sua stessa condizione necessaria ; pertanto la produzione di azioni estetiche, qualora sia concepita non a livello oggettivo ma a livello soggettivo, appare come una necessità propria dei casi empirici (di quei soggetti) in cui la possibilità di avere talento sia una realtà. Al contrario la realizzazione di azioni etiche è una necessità a livello oggettivo quale frutto della determinazione universale della volontà, ma appare come possibilità a livello soggettivo, dal momento che l’essere umano può essere una persona morale proprio perché può anche essere immorale40. Questa è la differenza o meglio l’opposizione tra i due tipi di azione, opposizione che si riferisce alla loro rispettiva struttura e che quindi è formale41 : la possibilità di realizzazione dell’azione estetica è connessa a una necessità soggettiva – alla condizione peculiare del soggetto empirico ; viceversa la possibilità di realizzazione dell’azione etica è connessa a una necessità oggettiva – alla determinazione della volontà secondo universalità.

36Questa opposizione tra i due tipi di azione concerne anche il ruolo che l’universalità riveste nella loro formazione. Se, come visto, il caso dell’azione etica prevede che la conoscenza del principio dell’universalità non svolge alcun ruolo nella determinazione della volontà, il caso dell’azione estetica è ancora più radicale : anche se l’artista ha un’intenzione opposta all’universalità, anche se intende rappresentare solo la sua idiosincrasia soggettiva (senza volerne cogliere l’universalità), la conseguenza risultante può essere una buona opera d’arte, in cui un ambito o un aspetto della soggettività sia rappresentato nella sua universalità. E se nell’azione etica il riferimento all’universalità rappresenta la condizione necessaria di determinazione della volontà morale, nel caso dell’azione estetica non vi è alcuna determinazione necessaria a priori della volontà, ma al limite solo una necessità a posteriori dedotta dalla realtà empirica soggettiva42 ; dall’assenza di una necessità a propri nell’azione estetica si deduce l’assenza di una forma oggettiva per l’universalità implicata nel piacere estetico : per questo motivo non è possibile tradurre l’universalità estetica in una meta-norma (come l’imperativo categorico per l’azione etica) che possa svolgere il ruolo di principio di legittimazione delle norme storiche o empiriche scelte dal soggetto come determinazioni della sua volontà – confermando ancora una volta, e per altra via, che non vi è alcuna definizione formale o oggettiva del bello.

37Apparentemente l’argomentazione relativa all’universalità propria dell’azione estetica è giunta a una contraddizione, dal momento che la rappresentazione della soggettività elevata a universalità svolgerebbe il ruolo di definizione oggettiva del bello e di principio meta-normativo selezionante le regole (e le opere) estetiche : bella sarebbe quindi l’opera che rappresenta l’universalità della soggettività o di alcuni aspetti (sentimenti) di essa. La contraddizione è apparente, e deriva dalla confusione tra forma e contenuto dell’universalità : per l’azione etica la forma dell’universalità è il concetto di imperativo categorico, il contenuto è la formulazione dell’imperativo ; nel caso dell’azione estetica l’universalità è definita come soggettività elevata al suo concetto, ma nulla è stato ancora detto relativamente al contenuto di tale definizione.

38La forma dell’universalità implicata nell’azione estetica non è oggettiva ; ciò significa che non può essere trovata una sua definizione univoca dal momento che questa forma non deriva da una necessità oggettiva (come la modalità “universale” della volontà morale) ma si riferisce unicamente a una necessità soggettiva. Ciò implica che il contenuto dell’universalità estetica non svolge il ruolo di una possibilità prescrittiva, ma al contrario è determinato da una realtà empirica : se nel caso dell’azione etica l’attore obbedisce a una norma (la norma della sua volontà determinata secondo imperativo categorico) nel caso dell’azione estetica l’attore crea il contenuto dell’universalità, crea la specifica rappresentazione del concetto di soggettività, ed è il fruitore a scoprire il contenuto specifico di questa meta-norma. Il contenuto dell’universalità è quindi la realtà empirica della creazione estetica e dell’esperienza estetica : la soggettività come concetto possiede sempre una nuova determinazione a seconda delle soggettività implicate (ovvero l’attore e il fruitore).

39È chiaro che l’opposizione tra azione etica ed estetica si riferisce quindi alla modalità di realizzazione dell’universalità. Se nell’azione etica il principio di questa realizzazione è la determinazione necessaria e oggettiva della volontà, nel caso dell’azione estetica non vi è alcuna determinazione oggettiva del processo di rappresentazione della “soggettività universale”, alla luce dell’assenza di ogni necessità a priori. Semplicemente, il prodotto di una soggettività empirica giunge a rappresentare l’universalità della soggettività (concettuale) in questa soggettività specifica (l’opera d’arte). In altri termini l’universalità estetica, invece di essere il principio di determinazione dell’empirico, sussiste in modo empirico ed è creata, rappresentata e quindi fruita empiricamente. Per questo motivo la soggettività come concetto non possiede alcuna determinazione oggettiva : il suo contenuto è plurale, ed è reinventato e riscoperto non solo a ogni creazione artistica, ma anche a ogni singola fruizione estetica (anche della medesima opera d’arte). Viceversa l’universalità estetica, benché potenzialmente presente in ogni singola opera d’arte (altrimenti non sarebbe possibile chiamare questo oggetto “opera d’arte”), è reale solo in alcune opere e non in altre, solo per alcuni fruitori e non per altri, solo in alcuni momenti e non sempre ; la soggettività quale forma dell’universalità estetica, benché sia sempre la stessa (in quanto concetto), esiste solo in differenti contenuti e aspetti, in differenti rappresentazioni e incarnazioni : essa cambia quindi a seconda del periodo e dell’opera d’arte, e si manifesta nelle varie espressioni del piacere estetico.

40Infine, dato che l’universalità è essenzialmente un principio meta-prescrittivo, se nell’azione etica il soggetto realizza il principio universale selezionando le norme storiche, nell’azione estetica il soggetto crea il contenuto di questa meta-norma ogni volta ex novo, come giustificazione del gesto artistico per l’attore o esplicazione del piacere estetico per il fruitore. Mancando ogni criterio oggettivo il gesto artistico e il piacere si legittimano per la sola presenza empirica della rappresentazione dell’universalità estetica. L’attore estetico ha quindi l’ultima parola sulla selezione delle norme : la necessità a posteriori dell’azione estetica è il giudice supremo di se stessa, e sarebbe assurdo un tribunale che emettesse un verdetto di colpevolezza relativo a qualsivoglia scelta normativa – se (condizione essenziale) si sia di fronte a una rappresentazione universale della soggettività, ossia se vi sia piacere estetico.

41Giunti a questo punto le due azioni manifestano non solo la loro opposizione, ma soprattutto la loro appartenenza a due sfere definite da regole differenti : se nella sfera etica l’universalità ha sempre l’ultima parola in quanto necessità a priori di una possibilità generale, nella sfera estetica il soggetto ha l’ultima parola in quanto necessità a posteriori di una possibilità soggettiva. Se nell’etica l’attore riceve la propria forma (etica) dall’universalità, nell’estetica l’attore attribuisce forma all’universalità. Paradossalmente, e in completa opposizione con l’azione etica, l’esistenza dell’opera d’arte è la giustificazione dell’azione estetica ; nuovamente il paradosso è solo apparente, e deriva dall’applicazione del vocabolario etico al caso estetico. La distanza tra azione etica e azione estetica rende illegittima ogni applicazione non solo dell’etico all’estetico ma anche dell’estetico all’etico : la violazione dei confini tra le due sfere determina una serie di giudizi fallaci relativi alle conseguenze dei due tipi di azione.

42A questo punto la mia argomentazione non è più descrittiva-analitica ma prescrittiva : dato che i due tipi di azione sono differenti, i giudizi relativi alle due sfere non devono essere confusi. Due i rischi : l’eticizzazione dell’estetico e l’esteticizzazione dell’etico, ossia la produzione di un giudizio relativo all’estetica secondo criteri etici e la produzione di un giudizio etico a partire da criteri estetici. Nel primo caso si deduce una qualità morale (o si ignora l’esistenza di un difetto morale) a partire dal piano estetico ; in questa categoria possono essere raggruppati alcuni giudizi abbastanza comuni : la deduzione della bontà morale dalla bellezza estetica (fallacia già criticata da Socrate in riferimento alla kalokagathia omerica) ; il profondo e perturbante rammarico provato nei confronti dell’assurdità della relazione tra l’ottima educazione estetica dei gerarchi nazisti e la loro crudeltà43 ; finanche la cecità morale di fronte alla bellezza di un oggetto, come nel caso dell’architettura del terrore o della repressione44. L’altro rischio, l’estetizzazione dell’etico, è forse ancora più comune ; per esempio può riferirsi al giudizio estetico negativo relativo a un’opera che violi le norme storiche (generalmente del pudore), e pertanto Monna Lisa deve indossare un velo, le pudenda del David di Michelangelo devono essere nascoste, il suono del violino è la voce di Satana ; viceversa può capitare che un’opera d’arte sia considerata bella solo per ragioni politiche, etiche o psicologiche, come nel caso delle produzioni di popolazioni economicamente svantaggiate o un tempo in schiavitù.

43L’elemento comune alle due forme di fallacia concerne la semplificazione del giudizio, frutto di cecità nel confronti dell’autonomia dell’aspetto (etico o estetico) cui l’oggetto di giudizio si riferisce in prima istanza. Questi due rischi sanciscono il fatto che le due sfere dell’etica e dell’estetica devono al limite essere comparate con grande attenzione dato che, come visto, anche se esse condividono lo stesso elemento formale (la relazione teleologica con l’universalità), questo elemento possiede differenti declinazioni nei due tipi di azione.

44È chiaro come questa conclusione non sia affatto soddisfacente. La filosofia ungherese Ágnes Heller affermò che sia l’identificazione tra etica ed estetica sia la loro rigida separazione producono disagio sia negli attori comuni sia nei filosofi. Questa affermazione è profondamente vera : il filosofo è (o dovrebbe essere) consapevole del rischio di confusione illegittima tra le due sfere, ma spera in segreto che le due dimensioni siano connesse ancor più strettamente rispetto a come l’attore quotidiano sa. Tuttavia il filosofo non può dire questa verità vestendo i panni del filosofo, dal momento che essa si riferisce al non-argomentabile e può essere solo espressa (ironia della condizione umana) proprio solo nel linguaggio estetico del romanzo e della poesia45.

45Ne I fratelli Karamazov, durante il processo a Mitja, il suo giovane fratello Alëša è chiamato a testimoniare. Questi grida con grande emozione l’innocenza del fratello maggiore, e alla domanda del pubblico ministero su cosa egli basi la sua convinzione, risponde : “Dal viso gli ho visto che non mi diceva una menzogna”46. L’estetica come prova morale ; questo breve episodio è l’espressione della speranza del filosofo, una volta spogliatosi delle sue vesti : che la bellezza e la bontà siano finalmente riunite oltre ogni divisione analitica nel fuggire del momento di completa soddisfazione, di arresto della storia umana, nella muta contemplazione della natura e dell’arte come bontà, e nella presenza dell’altro come bellezza.

Notes   

1  In caso contrario, alla luce di altri mezzi di comunicazione dell’idea, il comunicatore può essere chiamato filosofo, pensatore, uomo politico…

2  Goethe affermò che la regola non ha alcuna importanza, e che è sufficiente per un’opera essere buona per essere un classico.

3  Interpretando la libertà fisica in termini hobbesiani, come assenza di impedimenti al moto. Cfr. T. Hobbes, De cive.

4  Qui troverebbe luogo la discussione relativa al problema della differenza tra artista e artigiano. Anche se un’analisi esaustiva del problema richiederebbe uno studio approfondito, può essere notato come la funzione di chi è chiamato oggi artista era in passato legata all’aapartenenza a una corporazione. L’artista apparteneva quindi a uno specifico gruppo sociale il cui compito era la produzione di beni non esplicitamente connessi a una delle più alte manifestazioni dello spirito – in senso hegeliano.

5  Cf. Immanuel Kant, Kritik der Urteilskraft, § 46.

6  In questo processo storico lo Zeitgeist generale e il Geist artistico sono mutualmente determinati : la modificazione del sostrato normativo dell’arte segue e nel contempo anticipa i mutamenti culturali generali, a seconda del tipo di arte. Per esempio, la storia della musica è sotto alcuni aspetti più lenta rispetto alla storia dell’arte in generale.

7 Cf. Ágnes Heller, “Autonomy of art or the dignity of the artwork”, Critical Horizons n° 9, 2008, pp. 139-155.

8  A ben vedere, entrambi i soggetti sono definiti dalle norme che vi si riferiscono, ed è proprio alla luce del riferimento normativo che non solo un soggetto esiste come etico o estetico ma anche che un soggetto etico si distingue da uno estetico. La differenza risiede nel principio del riferimento, oggettivo nel caso etico e soggettivo in quello estetico. Questa fondamentale differenza è approfondita nell’ultima parte del presente studio.

9 Cf. Ágnes Heller, An ethics of personality, Blackwell, Oxford, 1996.

10 Cf. György Lukács, Theory of the novel, Merlin, 1961, in particolare la parte dedicata a Goethe.

11  Cf. Eric Weil, Philosophie morale, Vrin, Paris, 1961.

12  Cf. Jean-Pierre Changeux, Paul Ricœur, La natura e la regola. Alle radici del pensiero, Cortina, Milano 1999, pp. 221-222.

13  Cfr. Georg Wilhelm Friedrich Hegel, Grundlinien der Philosophie des Rechts.

14  L’Antigone di Sofocle è forse la somma rappresentazione artistica di questo conflitto etico.

15  Questo è già implicito nel fine tuning dell’azione etica.

16  È intrinseco al concetto di azione etica il fatto che essa sia compiuta verso un altro individuo.

17  In caso contrario la forma migliore di rappresentazione di questa idea sarebbe il discorso coerente, sottoposto a regole argomentative e suscettibile dell’applicazione di un criterio di verità. Ulteriore prova di ciò è l’assurdità, evidenziata per l’ennesima volta nella storia del pensiero da George Steiner, dell’applicazione dei concetti di vero e falso a una qualsiasi opera d’arte – o, il che è dire lo stesso, l’impossibilità della riduzione del giudizio estetico a giudizio determinante.

18 Cf. David Hume, On the standard of taste.

19  Il riferimento è alla ben nota Tischgesellschaft. Cf. la conclusione della prima parte dell’Antropologia kantiana, „Von dem höchsten moralisch-physischen Gut“. Cf. anche Ágnes Heller, “Invitation to luncheon by Kant”, in A Philosophy of History in Fragments, Blackwell, Oxford, 1993.

20  Se così non fosse non esisterebbe neppure un’educazione del piacere estetico, né alcun mutamento del suo oggetto nel corso di una vita.

21  Questa conclusione conferma l’indipendenza tra piacere estetico e esistenza dell’oggetto, o meglio conferma l’esistenza dell’oggetto come condizione necessaria ma mai sufficiente del piacere.

22  Il genio è differente : esso infrange la norma senza determinazione della volontà, ma come unico modo per produrre arte – dato che la sua funzione è attribuire una norma alla natura, non applicare una norma già esistente.

23  In questo caso il senso dell’opera sarebbe connesso all’esistenza della norma, e cesserebbe di essere riconosciuto nel momento del mutamento storico politico o “geniale” della norma stessa.

24  Questa prescrizione include anche l’ambiguità etica ed estetica di un’attitudine condotta con il solo scopo di scandalizzare o sorprendere : la volontà di scandalo o sorpresa può infatti essere connessa a un fine situato nelle contingenze tanto dell’attore quanto del fruitore.

25  Con la chiara esclusione della bellezza naturale – la quale non è oggetto di analisi, trattando il presente studio solo della bellezza come conseguenza dell’azione estetica.

26  Per l’azione etica, è possibile riportare quanto afferma Thomas Mann : “La bellezza non è perfetta e […] il segreto della bellezza consiste precisamente nell’attrattiva emanata da ciò che non raggiunge la perfezione”. Thomas Mann, Joseph und seine Brüder, vol. I, Die Geschichten Jaakobs, Fischer, Frankfurt a.M., 1983, pp. 67-68.

27 Cf. Eric Weil, op. cit., p. 177.

28  Cf. Immanuel Kant, Kritik der praktischen Vernunft, A 36 e Metaphsik der Sitten, in particulare l’introduzione alla Tugendlehre. Dal fatto che l’universalità appare come possibilità e non come necessità deriva la natura prescrittiva e non descrittiva dell’universalità stessa.

29  Dal momento che, per gli esseri umani, il concetto di universalità assume la forma della moralità (cf. Immanuel Kant, Kritik der praktischen Vernunft, A 56 « Folgerung »).

30  Nuovamente non è questione di necessità naturale : la volontà può certamente essere determinata anche non universalmente – ma per essere volontà morale, ossia produttrice di azioni etiche, essa deve necessariamente configurarsi come volontà di necessità.

31  Altrimenti, e in modo assurdo, la lettura di Kant sarebbe la condizione necessaria della realizzazione dell’azione etica. Come Kant stesso afferma chiaramente nell’introduzione alla seconda Kritik (A 15, nota) l’imperativo categorico non aggiunge nulla di nuovo alla morale, non è quindi la norma grazie a cui ogni azione sarebbe moralmente buona, piuttosto è la formula del dovere in generale, ossia la rappresentazione prescrittiva della condizione formale della moralità.

32  Ossia azione che non solo rispetta una norma, ma che tratta l’altro essere umano come universale – o meglio azione nelle cui conseguenze l’altro può riconoscersi come universale ; le conseguenze dell’azione rispettano quindi il valore universale dell’altro come persona umana.

33  Per questa ragione le prescrizioni di volare (per ogni essere umano) o di pagare una tassa superiore alle proprie possibilità economiche (per uno specifico gruppo sociale) posso essere riconosciute come prive di senso normativo (mantenendo sempre il loro senso a livello linguistico-grammaticale).

34  Cf. la teoria del metodo nella seconda Kritik e il frammento di catechismo morale nella Metaphysik der Sitten.

35  A ben vedere vale lo stesso per l’azione etica : la semplice volontà non è sufficiente a produrre una conseguenza etica ; tuttavia l’intenzione svolge il ruolo fondamentale di attenuante e scusante, limitando il giudizio negativo portato sulle conseguenze e sulla responsabilità ex post. Nel caso dell’azione estetica l’intenzione non svolge invece alcun ruolo di limitazione della negatività del giudizio : la migliore intenzione può produrre oggetti irrimediabilmente brutti o grotteschi, o, ancor peggio, non determinare alcun piacere estetico.

36  Persone che brillano, come disse Kant, con la luce di una pietra preziosa. Cf. Immanuel Kant, Grundlinien der Philosophie des Rechts, BA 3.

37  Come Rubinstein sentenziò crudelmente, è possibile avere un’ottima tecnica, ma senza talento innato non è possibile essere un grande pianista. Per questo motivo non è neppure possibile parlare di alcuna determinazione necessaria della volontà estetica.

38  Cf. Hermann Cohen, Ästhetik des reinen Gefühls, vol. I, 1912, 45-55. Il presente studio è profondamente debitore delle riflessioni coheniane.

39 Cf. Thomas Mann, “Schopenhauer”, in Id., Essays of Three Decades, New York, 1947.

40 Cf. Eric Weil, op. cit., p. 18.

41 Materie ist das datum, was gegeben ist […]. Die Form aber, wie diese data gesetzt sind, die Art, wie das Mannigfaltige in Verbindung steh“ (Immanuel Kant, Vorlesungen [L2 75], p. 575).

42  Pertanto, ipoteticamente, può essere supposto che se la persona morale riconosce il funzionamento della propria volontà a seguito del contatto con il concetto di universalità prescrittiva, la persona artistica può sempre e testardamente affermare di rappresentare unicamente la propria soggettività e tuttavia realizzare de facto una opera d’arte valida, ovvero che parli il linguaggio dell’universalità.

43  Se neppure una mente acuta e penetrante come quella di George Steiner è in grado di sciogliere la ragione, la causa e la giustificazione di questa relazione, è davvero possibile parlare di mistero.

44  Giungerei ad affermare che l’attitudine del personaggio di Ricky Fitz della pellicola American Beauty di Sam mendes può essere compresa in questa categoria.

45 Cf. Eric Weil, Logique de la Philosophie, Vrin, Paris 1950; nel capitolo dedicato al Senso come categoria del discorso filosofico e come oggetto di rivelazione poetica, Weil afferma che nella poesia “il Bene appare sotto la forma del Bello”.

46  Fedor Dostoevskij, I fratelli Karamavoz, Torino, Einaudi, 1993, p. 888.

Citation   

Andrea Vestrucci, «Pro e contro una relazione tra azione etica ed estetica», Filigrane. Musique, esthétique, sciences, société. [En ligne], Numéros de la revue, La responsabilité de l'artiste, Réflexions sur éthique et esthétique, mis à  jour le : 17/10/2012, URL : https://revues.mshparisnord.fr:443/filigrane/index.php?id=529.

Auteur   

Quelques mots à propos de :  Andrea Vestrucci

Andrea Vestrucci, docteur des universités de Lille 3 et de Milan, s’est spécialisé autour des philosophies d’Eric Weil et d’Ágnes Heller, auxquelles est dédié son ouvrage Le mouvement de la morale (2012). Ses recherches concernent la fonction représentative de l’impératif moral chez Kant et le lien entre particularité et niveau formel catégorique. Aujourd’hui, il est professeur d’éthique à l’Université Fédérale du Céarà au Brésil.